Giulia vuole essere presa da dietro quando facciamo l’amore, lo pretende. È una droga, dice in continuazione e, se non esaudisco questa sua richiesta, per due settimane rischio di andare in bianco e di sorbirmi reprimende degne di un dramma shakespeariano.
Sia ben chiaro, a me piace far sentire la virilità a mia moglie, mi fa impazzire, ma a volte vorrei sottrarmi alla richiesta perché temo divenga un obbligo e non un piacere, e la sensualità dell’atto perderebbe il gusto trasgressivo che provo nel metterla in opera.
«Dovresti provare pure tu» disse una sera Giulia accarezzandomi la pancia dopo che avevamo fatto l’amore, «capiresti il piacere che mi annichilisce, e ti dedicheresti con maggiore slancio a questo atto d’amore».
«Non se ne parla proprio, a me piace possedere e non essere posseduto» le risposi, «e l’idea nemmeno mi eccita. Credo sia una cosa che non proverò mai». Il discorso terminò come ebbe inizio, e per lungo tempo rimase un vago ricordo. […]
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